Due rappresentazioni uniche di S. Felice, Statua in cartapesta del 700 e quadro, custodite nella chiesa e nella stanza/cappella del Santo nel Convento di Fiuggi.
Felice nacque a Cantalice nell’anno 1515 da un’umile famiglia contadina.
In casa il pane era poco e sudato duramente, per questo, poco più che decenne prese la via di Cittaducale per lavorare presso la famiglia Picchi, prima come custode delle pecore e poi nei campi. Crebbe dunque forte e rude e alimentò la sua spiritualità leggendo le vite dei Padri del deserto.
Prima dei trent’anni, si sentì chiamato dal Signore ad entrare nella ‘religione dei Minori’ e bussò alle porte dei conventi dei Cappuccini di Leonessa e Rieti. Trattato con indifferenza se ne tornò al lavoro nei campi. Un giorno mentre cercava di sottoporre al giogo due buoi questi si impazzirono e lo travolsero passandogli sopra con l’aratro.
Felice uscito illeso dall’incidente lo interpretò come un segnale che il Signore gli aveva usato misericordia perché riprendesse la via del convento. Si recò a Cittaducale, il guardiano l’accolse, notando la sua particolare attitudine alla preghiera, e dopo una decina di giorno vestì il saio cappuccino, dopodichè si trasferì a Roma per ricevere le indicazioni del Vicario provinciale.
Al processo canonico indetto da Sisto V nel 1587, fra’ Bonifacio da Anticoli dirà: “Io non l’ho conosciuto quando era secolare.
Ma, subito che fu vestito, li frati lo misero in mano a me qui in Roma, e io lo menai ad Anticoli con un altro novizio, dove frate Felice stette un anno con noi…
E li frati fecero resistenza di volerlo accettare, perché ogni sei o sette dì aveva la febre…
E quando si fece frate, era giovane ed era un tozzotto che era di ferro.
Io non so se arrivava a trent’anni…
Non sapeva ne leggere ne scrivere.
E quel poco che sapeva alla mente, li aveva imparato io…
Chi l’avesse creduto, chè pareva un uomo salvatico!” .
Era gennaio o febbraio del 1544. Maestro e discepolo dopo l’ufficio della mezzanotte rimanevano in chiesa a pregare fino all’alba.
Per motivi di salute dopo alcuni mesi frà Felice fu trasferito da Anticoli a Monte San Giovanni Campano dove emise la prima professione il 18 maggio 1545, dopodichè passò un anno a Tivoli, qualche altro mese a Viterbo, e nel 1547 fu trasferito a Roma, dove rimase fino alla morte, avvenuta il 18 maggio 1587.
Frà Felice per quarant’anni, fino a pochi giorni prima della morte, svolse l’ufficio di questuante prima del pane, e poi anche del vino.
S’era fatto frate col voto di non toccare più pane, ma, dirà: “Il Signore m’ha reso padrone di tutti i forni di Roma”.
E il pane e il vino raccolto tante e tante volte anziché riportarlo in convento, col permesso dei superiori, lo distribuiva ai bisognosi e ai malati che si recava spesso a trovare.
Fu cercato per la sua saggezza anche dai nobili, dai cardinali… dal Papa.
E’ famoso l’aneddoto di Sisto V (che indirà il primo processo canonico) che incontrandolo per via voleva una delle pagnotte da lui questuate.
Frà Felice gliene diede una nera e dura dicendogli: “Scusate, santo Padre, ma pure voi siete frate!”.
La sua amicizia e i suoi incontri con San Filippo Neri, suo coetaneo, desteranno l’ammirazione di tutti i romani.
“Occhi a terra, cuore in cielo, corona in mano”,
“Corona in mano, occhi in terra e mente alla Beata Vergine”,
“Sono l’asino dei frati”,
“Deo gratias”…
sono frasette di frà Felice che potrebbero bastare per avere un suo ritratto interiore ed esteriore, unitamente ai suoi piedi nudi, le notti in preghiera, le grandi penitenze, la giovialità verso tutti.
Ebbe un amore particolare per i bambini… per questo ebbe in dono una visione: la Vergine Maria che affidava alle sue braccia il Bambino Gesù. E così, da quattrocento anni, l’arte lo ricorda nelle immagini a lui dedicate.
In casa il pane era poco e sudato duramente, per questo, poco più che decenne prese la via di Cittaducale per lavorare presso la famiglia Picchi, prima come custode delle pecore e poi nei campi. Crebbe dunque forte e rude e alimentò la sua spiritualità leggendo le vite dei Padri del deserto.
Prima dei trent’anni, si sentì chiamato dal Signore ad entrare nella ‘religione dei Minori’ e bussò alle porte dei conventi dei Cappuccini di Leonessa e Rieti. Trattato con indifferenza se ne tornò al lavoro nei campi. Un giorno mentre cercava di sottoporre al giogo due buoi questi si impazzirono e lo travolsero passandogli sopra con l’aratro.
Felice uscito illeso dall’incidente lo interpretò come un segnale che il Signore gli aveva usato misericordia perché riprendesse la via del convento. Si recò a Cittaducale, il guardiano l’accolse, notando la sua particolare attitudine alla preghiera, e dopo una decina di giorno vestì il saio cappuccino, dopodichè si trasferì a Roma per ricevere le indicazioni del Vicario provinciale.
Al processo canonico indetto da Sisto V nel 1587, fra’ Bonifacio da Anticoli dirà: “Io non l’ho conosciuto quando era secolare.
Ma, subito che fu vestito, li frati lo misero in mano a me qui in Roma, e io lo menai ad Anticoli con un altro novizio, dove frate Felice stette un anno con noi…
E li frati fecero resistenza di volerlo accettare, perché ogni sei o sette dì aveva la febre…
E quando si fece frate, era giovane ed era un tozzotto che era di ferro.
Io non so se arrivava a trent’anni…
Non sapeva ne leggere ne scrivere.
E quel poco che sapeva alla mente, li aveva imparato io…
Chi l’avesse creduto, chè pareva un uomo salvatico!” .
Era gennaio o febbraio del 1544. Maestro e discepolo dopo l’ufficio della mezzanotte rimanevano in chiesa a pregare fino all’alba.
Per motivi di salute dopo alcuni mesi frà Felice fu trasferito da Anticoli a Monte San Giovanni Campano dove emise la prima professione il 18 maggio 1545, dopodichè passò un anno a Tivoli, qualche altro mese a Viterbo, e nel 1547 fu trasferito a Roma, dove rimase fino alla morte, avvenuta il 18 maggio 1587.
Frà Felice per quarant’anni, fino a pochi giorni prima della morte, svolse l’ufficio di questuante prima del pane, e poi anche del vino.
S’era fatto frate col voto di non toccare più pane, ma, dirà: “Il Signore m’ha reso padrone di tutti i forni di Roma”.
E il pane e il vino raccolto tante e tante volte anziché riportarlo in convento, col permesso dei superiori, lo distribuiva ai bisognosi e ai malati che si recava spesso a trovare.
Fu cercato per la sua saggezza anche dai nobili, dai cardinali… dal Papa.
E’ famoso l’aneddoto di Sisto V (che indirà il primo processo canonico) che incontrandolo per via voleva una delle pagnotte da lui questuate.
Frà Felice gliene diede una nera e dura dicendogli: “Scusate, santo Padre, ma pure voi siete frate!”.
La sua amicizia e i suoi incontri con San Filippo Neri, suo coetaneo, desteranno l’ammirazione di tutti i romani.
“Occhi a terra, cuore in cielo, corona in mano”,
“Corona in mano, occhi in terra e mente alla Beata Vergine”,
“Sono l’asino dei frati”,
“Deo gratias”…
sono frasette di frà Felice che potrebbero bastare per avere un suo ritratto interiore ed esteriore, unitamente ai suoi piedi nudi, le notti in preghiera, le grandi penitenze, la giovialità verso tutti.
Ebbe un amore particolare per i bambini… per questo ebbe in dono una visione: la Vergine Maria che affidava alle sue braccia il Bambino Gesù. E così, da quattrocento anni, l’arte lo ricorda nelle immagini a lui dedicate.